Un film tra scienza e umanesimo
Cris Nolan ha compiuto di nuovo un viaggio narrativo coinvolgente. Questo film è la celebrazione dell’umanesimo, del team building, della multidisciplinarietà, del legame tra uomo e tecnologia (nel bene e nel male).
Il film è troppo lungo. Solo dialoghi e sceneggiature dinamica riescono a mantenere costante l’attenzione per 3 ore sulla poltrona; così come riesce la doppia linea narrativa che intreccia la genesi della bomba e lo scandalo politico nella vita del protagonista. A compensare questo debolezza di regia, colonna sonora e fotografia sono straordinarie.
Il soggetto del film
Perché questa soggetto?
È il bisogno americano di riequilibrare i giochi di potere e ricordare al mondo (e alla Russia in particolare) “chi ce l’ha più grosso?”
Credo che il messaggio profondo sia ricordare che il fantasma del nucleare abita ancora nella mente dell’uomo contemporaneo e che il suo potere è pericoloso. Il protagonista lo sa e convive con le visioni catastrofiche nelle propria mente.
È una storia troppo americana, che per fortuna non appartiene al mondo italiano, si fatica a comprendere tutte le dinamiche di potere, burocrazia e indagini sparate dallo schermo alla velocità della luce. Avrei gradito un focus nel mondo della fisica, nel beautiful mind, nell’invenzione, nella fase costruttiva del “gadget” (che invece viene arronzata).
L’esigenza di raccontare una biografia e un evento storico reali ha spinto il regista Nolan oltre i propri limiti: mancano quella creatività e quella filosofia che impregnavano Interstellar e Oppenheimer langue così nella dimensione documentaristica.
Il personaggio del film
L’attore protagonista regala una performance eccellente, grazie anche ai un paio di gelidi occhi azzurri e a uno sguardo allucinato dalle visioni oltre la la materia e oltre il tempo generate dal suo stesso dono. Il resto del cast, ricco di volti noti, è quello tipico del viaggio dell’eroe: mentori, aiutanti, giullari, nemici, maghi e figure femminili (con poca parola e molto potere d’azione).
Oppy è un “Prometeo che ruba il fuoco agli dèi e lo consegna agli uomini”, ma resta pur sempre un uomo, fragile e ferito, che subirà la punizione delle proprie catene interiori: senso di colpa, responsabilità di sangue innocente, scrupolo, dubbio, paura, ambizione, delusione. È un’antieroe con tante ombre, e non godrà di un vero happy-ending.
Abbiamo fatto una cosa, l’arma più terribile, che ha alterato bruscamente e profondamente la natura del mondo. E nel farlo abbiamo sollevato ancora una volta la questione se la scienza sia un bene per l’uomo.
Cosa gli riconosco? Un talento geniale, la capacità di generare fascino e seduzione con la mente e con le parole (prendiamo esempio), la predisposizione a riconoscere il talento altrui, a delegare, a mantenere le relazioni, a essere un leader dialogico.
Mi suscita compassione perché è un burattino dei capricci della politica militare americana che il giorno prima lo innalza al cielo e il giorno dopo lo abbandona. È carnefice sì, ma anche pedina e vittima.
Quali emozioni mi hanno accompagnato all’uscita della sala del cinema?
La paura nei confronti dell’egoismo umano, al tempo stesso il fascino per la fisica.