Sono due i ritorni nel Parco archeologico a Pompei: il mio (dopo circa due anni dalla pandemia Covid-19) e quello della Domus Vettii (dopo 20 anni di cantiere per il restauro).

Ho beccato una bellissima giornata: sole, cielo azzurro terso, regio libere da orde turistiche. Il mio sopralluogo nella città-morta coincide con un sopralluogo alla star del momento, la “Cappella Sistina” di Pompei, come l’ha definita il neodirettore del Parco. Gli elementi per tornare a raccontare la gloria della super domus ci sono tutti: lo splendore degli affreschi in IV stile, le casseforti del potere all’ingresso, il giardino rigoglioso e zampillante, lo storytelling mitologico istoriato in ogni stanza. L’ora trascorre veloce e gli spazi si riempiono di visitatori: turisti, tecnici, restauratori, guide. Vado via convinto della ricchezza e del valore dei padroni di casa, ubriaco di colori, prospettive e amorini. Tornerò.

Camminando ho pensato ai personaggi della casa, quelli che a Pompei non vedi più: niente corpi, a volte solo nomi o volti. Ho pensato ad Aulus Vettius Restitutus e ad Aulus Vettius Conviva, al momento in cui hanno iniziato la scalata sociale:

siamo liberti, ricchi imprenditori con il commercio del vino.

Hanno saputo riscattarsi, e ora si godono una tra le ville più ricche della città vesuviana. Secondo alcuni studi, il sangue della gens Vettia era già nobile, per discendenza da quella delle “maior gentium” discendenti addirittura dai Troiani. L’inizio di una narrazione partirebbe dall’elemento “magico”, i due anelli ritrovati con i nomi incisi: sono una fonte storica ma al tempo stesso l’oggetto narrante che dà voce alle loro anime.

Mi immagino già la risposta da uno dei due fratelli:

Se la domus è sopravvissuta è tutto merito di Priapo, nostro protettore e dispensatore di prosperità…