Persone: il centro della vita
Secondo Worldometers, a marzo 2018, eravamo 7 miliardi, 608 milioni, 76mila, cinquecento e rotti. Sono le persone della popolazione mondiale: la razza umana si aggira intorno a questa mega cifra, un’oscillazione di numeri che sarà già mutata quando avrò pubblicato questa riflessione.
Non faccio altro che pensarci: il centro di tutta la vita e di tutto l’universo conosciuto è la persona, l’individuo. Siamo noi, sono io che scrivo, sei tu che leggi. Il mondo che ci circonda, in tutte le sue dimensioni fisiche, metafisiche, naturali e artificiali, analogiche e virtuali, è solo un grande contenitore. Senza le persone nulla avrebbe senso e nulla servirebbe.
Le abitazioni e le città sono in funzione delle persone, le automobili e gli aerei sono in funzione delle persone, così come lo sono i vestiti e le scarpe (che hanno addirittura le taglie), lo sono tutti i prodotti e i servizi commerciali, lo è il marketing, il business, l’arte e la tecnologia. Si potrebbe fare a meno di tutto questo solo se l’uomo (le persone) non esistesse. La Natura andrebbe avanti da sola, insieme al regno animale (forse gli unici che in qualche modo non hanno bisogno di noi).
Pensare come una persona
Il modo migliore dunque per arrivare alle persone è pensare in funzione delle persone, agire secondo la vita e le abitudini delle persone, mettere al centro le persone in qualsiasi attività che offra loro qualcosa. Questa è l’unica metodologia per interagire al meglio nell’ambito in cui operiamo, qualunque esso sia. Pensa al tuo, ad esempio, non è così? (prova a pensare al tuo lavoro e trova un riferimento).
Come umanista che attinge input, contenuti e strategie da diverse discipline, ammetto di avere una predilezione per la psicologia. I terapeuti conoscono l’interiorità dell’uomo, il funzionamento dell’io e della psiche. Penso che loro siano privilegiati perché lavorano per il bene della mente umana, ne godono il fascino e la bellezza, ne studiano i comportamenti.
Oggi qualsiasi lavoro o progetto dovrebbe avere un aspetto psicologico, di ascolto, di visione umanistica delle vita.
Comprendere come ragionano le persone, da cosa vengono spinte quando agiscono, cosa comunicano, quali storie si portano dentro, perché e come si emozionano, come e perché scelgono, come e perché compiono azioni, penso sia la chiave per quel “successo” che tutti cercano. Ciascuno nella propria professione, qualunque essa sia. Successo, intendo, non in termini di ricavi economici, quanto di legame con la persona.
È vero quando dicono che bisogna immedesimarsi negli altri, che è fondamentale ricostruire il proprio pubblico, studiarlo, profilare le caratteristiche sociologiche, così come umanizzare la comunicazione e la scrittura, umanizzare le marche e i prodotti, progettare musei, abitazioni e periferie a misura d’uomo, elaborare percorsi culturali sulla base delle esperienze e delle esigenze della persona.
I luoghi, le storie, i prodotti
I luoghi: sono vissuti dalle persone, abitati dalle persone, resi memorabili dai personaggi, celebrati dalle loro esperienze. Se si punta solo alla “forma” di un luogo, e non si bade a chi lo vive, si perde in partenza.
Le storie: sono abitate da persone, non da prodotti, sono preferite e cercate dalle persone, sono intrise di emozioni e sensazioni, non di materia, sono frutto dell’immaginazione, della memoria, degli archetipi, degli istinti, dei desideri, della parola, dell’esperienza (tutte dimensione interne nel micro-cosmo della persona).
I prodotti: oggetti, servizi, strumenti, tutto è pensato per la persona. Il destinatario è sempre la persona.
Ritorniamo all’Umanesimo. Ritorniamo a pensare e disegnare le attività in modo vitruviano: la persona al centro.
Se le persone non comprano, non rispondono, non si muovono, non ascoltano, non sperimentano, non ti seguono, non vengono, non aderiscono, non visitano luoghi e musei, non cliccano, non parlano e non ricordano, è perché non hanno ritrovato sé stesse in quella esperienza offerta.
Think human, be human.
[foto in copertina di Karin Henseler da Pixabay]