La realtà aumentata per la tecnologia immersiva non ha inventato nulla di nuovo. In realtà il concetto esiste già e accade nella nostra quotidianità. Magicamente? No. L’unica differenza è gli essere umani non sono ancora in grado di proiettare il contenuto dei propri sensi. In questo articolo voglio spiegarti perché non c’è nulla da temere nella sperimentazione della realtà aumentata nel settore culturale, e perché, rispetto alla realtà virtuale, questo tipo di interazione è più predisposta a costruire un imminente metaverso a misura d’uomo.
Realtà aumentata digitale: ci pensa la tecnologia
Sei hai dubbi, diffidenze o paure nei confronti della realtà aumentata e della sua applicazione nel marketing culturale o museale, in particolare nella comunicazione e nello storytelling, voglio riflettere con te su un aspetto che potrebbe aiutarti a comprende meglio la vocazione “naturale” di questa tecnologia.
La tecnologia della realtà aumentata sovrappone informazioni e contenuti digitali di qualsiasi formato (foto, audio, video, animazioni in 3D ecc.) alla realtà fisica che ti circonda, quella che vedi intorno a te con i tuoi occhi, grazie alla mediazione di un “diaframma”: il monitor di un dispositivo mobile accessorio (smartphone, tablet, glassess ecc). L’effetto della sovrapposizione si attiva inquadrando un marker, cioè un punto di riferimento, un ancoraggio “magico” collocato sulla scena, sull’oggetto o nello spazio in questione da “aumentare”. Il marker è in genere un QR-code o un multipixel o altro riferimento visuale, che viene inquadrato con la fotocamera un lettore Qr-code o con la fotocamera del dispositivo mobile. Il marker racchiude in sé la codifica del contenuto da far “apparire” sul tuo dispositivo, previa installazione dell’APP dedicata al progetto (ad esempio per un’audioguida, per un videogioco, per una mappa interattiva, per un sito web ecc.).
Questa tecnologia sta raggiungendo performance sempre più alte, capaci di offrire livelli di sovrapposizione quasi perfetti, veri mondi di informazioni e contenuti digitali che integrano la realtà (quella vera).
Qualche esempio di contenuti/interazioni che si possono applicare nell’ambito culturale e museale?
- animare dettagli o intere opere d’arte
- integrare contenuti relativi all’oggetto artistico o sul luogo storico (come era e com’è; suoni o canzoni da riprodurre; voci narranti, testi da zoomare e sfogliare, documenti e materiale d’archivio informativo ecc.)
- ricostruzioni digitali in 3D (animate, statiche, parlanti ecc.) di personaggi all’interno di sale museali o di luoghi culturali
- ricostruzioni digitali in 3D di architetture, edifici, città o paesaggi distrutti, abbandonati, trasformati, vuoti o privi di elementi.
Realtà aumentata umana: ci pensa il cervello
La tecnologia digitale, dunque, ha il “potere” di rendere concreto l’invisibile, da un nulla (apparente) ci offre un’esperienza di apprendimento o di interazione con un contenuto statico o dinamico.
La sovrappossizione di un contento intangibile nella realtà fisica avviene già, in modo “naturale” e automatico, anche nelle nostre vite, attraverso due sistemi tecnologici biologici che utilizziamo ogni giorno per qualsiasi attività: il cervello e gli apparati sensoriali. La differenza tra noi e la tecnologia digitale è che l’essere umano non ha la capacità di materializzare tutto il contenuto immateriale che genera dentro di sé o che percepisce dal mondo esterno. È ovunque, riempie l’aria e lo spazio, i luoghi che viviamo, lo portiamo con noi e lo scambiamo con gli altri. Sono il prodotto delle nostre tecnologie biologiche, lo decodificano, lo interpretano e lo rilasciano o lo acquisiscono. Siamo tecnologie “aumentate” anche noi, ma non lo vediamo.
Entriamo nel vivo di questa riflessione:
- l’essere umano pensa, riflette, ragiona. Il pensiero è un prodotto della mente che possiamo associare al contenuto di tipo testuale. Nella nostra mente circolano, scorrono e si sovrappongono parole, proposizioni, periodi, monologhi, discorsi, battute. Non li vediamo e non riusciamo a materializzarli. Immaginiamo una sala d’attesa, una sala museale, un’aula studio, una camera, ma anche un tratto di strada con persone che camminano: al di là dei suoni e dei rumori, ogni persona sta pensando e sta riempiendo lo spazio e l’aria con i propri pensieri, ma non si vedono…
- l’essere umano parla. Tutti quei pensieri di cui abbiamo parlato prima escono al di fuori di noi solo quando decidiamo di tradurlo con la parola. Ci serviamo della tecnologia fonetica: corde vocali, lingua, palato che “aumentano” il nostro pensiero e la comunicazione attraverso il parlato. Restano comunque contenuti intangibili, riempiono lo spazio tra gli interlocutori ma non si vedono. Il mondo intero è pieno delle nostre parole, la mente degli altri è piena delle nostre parole, gli spazi in cui viviamo si impregnano dei nostri contenuti verbali ma non si vede nulla.
- l’essere umano annusa. Aromi, fragranze, olezzi, profumi e puzze sono contenuto invisibile che circola nell’aria e nello spazio in cui è prodotto. Li percepiamo solo grazie alle cellule olfattive del naso, il nostro dispositivo tecnologico che li traduce in informazioni, cioè altro testo. Sia l’odore che l’informazione associata (testo, immagine, memoria, ricordo, emozione) non possiamo materializzarli…
- l’essere umano ascolta. Suoni, rumori, note, parole sono dati che possiamo associare facilmente al contenuto di tipo audio. Ci circondano, ma sono invisibili e immateriali. Li produciamo e li percepiamo attraverso il nostro apparato uditivo. Ma chi ha mai toccato la musica o visto la forma di un rumore con le sole proprie capacità fisiche?
- l’essere umano tocca. Anche le sensazioni tattili non si vedono, mancano di forma, diventano input per il cervello che, sempre in forma invisibile, li traduce dentro di noi come sensazioni, immagini, materiali, dimensioni.
Come vedi, l’essere umano è un bagaglio vivente di contenuti “virtuali e invisibili”, attivo e ricettivo, che vive la realtà con una modalità molto simile alla realtà aumentata immersiva digitale. Il cervello e il sistema sensoriale sono elaboratori e proiettori: restituiscono informazioni decodificate sovrapposte alla realtà fisica e “aumentano” la comprensione di oggetti, persone e luoghi.
Camminiamo e viviamo in un mare invisibile di contenuti umani, ci servono per poterci orientare, per interagire e comunicare, per esprimerci, per migliorare il nostro status, per sopravvivere. Oltre alla sfera della sensorialità primaria, potremmo citare anche il sesto senso, l’intuito, e tutto il comparto delle emozioni, che “aumentano” la vita dando spessore e significato alle esperienze che ci coinvolgono in modo speciale.
Per un metaverso culturale
La Realtà Aumentata, come le altre tecnologie digitali immersive, non devono spaventare né essere demonizzate. Vanno studiate e comprese. Il suo modello esperienziale è più simile a quello del nostro cervello e al nostro modo di “stare” nel mondo, se paragonata alla Realtà Virtuale che prevede la totale ricostruzione (digitale) di una realtà (simile o completamente diversa da quella che conosciamo) in cui isolarsi.
Da quando è iniziata la ricerca per lo sviluppo di un possibile (o più) metaverso, si discute se sia meglio scegliere la RA o la RV. La propensione per la realtà aumentata è molto forte, proprio perché si avvicina meglio al concetto di un’esperienza on life, con una naturale integrazione di contenuti digitali nel mondo reale, anziché immergerci in un universo totalmente ricostruito o alternativo.
L’offerta di un metaverso “aumentato” nell’ambito culturale è allettante perché potrebbe permetterci di vivere in modo più cognitivo, più reale, più vero, e più coinvolgente il rapporto con le nostre città, con il nostro passato e con la memoria storica. Ci pensi? Vivere nel pieno di un evento storico ricostruito, interagire con i personaggi che hanno abitato un palazzo storico, ascoltare le parole di un cavaliere o di un re che si animano mentre osserviamo tra i suoi ritratti.
L’unica cosa importante da fare
I contenuti destinati a un metaverso culturale “aumentato” devono essere progettati in modo calibrato in base al grado di interesse, al livello culturale e al tipo di esperienza che si desidera vivere. Ad esempio un percorso di scoperta sul territorio o una visita guidata o ancora un percorso naturalistico non dovrebbero essere troppo affolate di informazioni in realtà aumentata, perché possono infastidire e distrarre dall’esperienza in situ, dalla voglia di godere del contatto con la natura o con il luogo culturale. Vanno pensato come finestre di supporto alla narrazione principale dell’operatore culturale, mai subordinata o scavalcata dalla tecnologia.
Un altro punto critico, in generale per esperienze di metaverso nella vita di tutti i giorni, è quello legato ai banner o ai pop-up di advertising, i se vuoi saperne di più, i clicca qui per altro, i forse potrebbe interessarti anche). Districarsi tra una mole di informazioni mal profilati o non graditi davanti agli occhi può provocare una frustrazione e innescare un exit dell’utent per overload; in generale una quantità di contenuti non desiderati fa perdere la traccia di ciò che si sta cercando.
Su cosa dobbiamo investire? Sull’uomo, sì, sempre sull’uomo. Bisogna investire sulla qualità dei contenuti, sulle idee, sulle storie da raccontare. Bisogna analizzare il pubblico e anticipare l’immaginazione, proiettare e sovrappore quel qualcosa che, oltre alla finalità didattica e istruttiva, soddisfi la curiosità, la sorpresa, la partecipazione emozionale.
L’arte è un riflesso della vita e del modo di vedere la vita e il mondo, dunque, l’arte può essere vissuta come insegnamento di vita, come spunto di riflessione sulle cose, anche partendo da un soggetto sacro, o da un ritratto, o da un paesaggio, o da una raccolta museale. Sono tutti riflessi e simboli di vita quotidiana.
Su questa base la tecnologia che supporta il concetto della realtà aumentata si evolverà da sé.
Don’t worry, be human.